Ci sono tante cose che mi fanno incazzare degli editori italiani, e una di queste è la loro predisposizione a occuparsi di idiozie senza senso, di loro norme editoriali senza alcun effetto sul cervello del lettore, e di farlo in modo puntiglioso...
... ma poi sono ignoranti in modo abissale non solo su come funzioni la scrittura in relazione ai meccanismi cognitivi e di simulazione nella mente di chi legge, ma perfino su concetti basilari di grammatica italiana!
Io non sono un grammar nazi e non sono un fan della "correttezza" grammaticale astratta a scapito del reale uso colloquiale del parlato perché mi occupo di narrativa e il realismo fa di norma a capocciate con la perfezione teorica linguistica.
Suonerebbe farlocco se scrivessimo ogni battuta solo in modo "perfetto" per la grammatica teorica: non si parla così nella realtà, si usano piccole scorciatoie, si sporca un po' il linguaggio.
Nemmeno l'Accademia della Crusca è fan del linguaggio...
Si dice sé stesso con l'accento, oppure si dice senza? La situazione è molto chiara, ma in Italia siamo riusciti a renderla complessa. Scopriamo come!
Il pronome tonico riflessivo sé richiede l'accento acuto, ("ognuno pensi per sé") per distinguerlo dal se congiunzione ("se te ne vai, avvertimi") o pronome atono ("se ne andò").
A scuola ti avranno probabilmente insegnato che quando viene abbinato con stesso, stessi o medesimo bisogna togliere l'accento da sé e fare "se stesso", "se stessi" o "se medesimo".
Eppure viene così naturale scrivere con l'accento. Così ovvio. Così elegante, visto che non adottiamo una regola ulteriore. Davvero non possiamo accentare?
Ci vuole davvero poco a rispondere. Basta guardare cosa dicono gli esperti e il parere è praticamente unanime: sé stesso con l'accento non solo è corretto, ma è addirittura preferibile. Cominciamo!
Oggi voglio parlarti di un segno utilissimo nei dialoghi. Un segno che potresti aver visto raramente, o perfino mai, nei romanzi... ed è uno dei moltissimi motivi per cui tanti libri sono realizzati male.
Un segno che dal 2014 sto lottando per diffondere in Italia, da quando sono direttore editoriale, e a me si sono uniti diversi autori e colleghi editori.
Si chiama em dash, o lineetta emme. Questa qui: —
Esiste, anche in italiano, come esiste la lineetta enne (en dash): –
E no, non sto parlando del trattino (hyphen), che è molto più corto di entrambe: -
Tutto chiaro fin qui? Okay.
Ognuno di questi segni ha usi specifici differenti e uno di questi usi, specifico della em dash (quella lunga), è nel troncare di botto una battuta di dialogo (sia nel mezzo di una parola che a fine parola).
Simula l'effetto di qualcosa, o qualcuno, che ci spezza la frase in bocca e noi non la completiamo: qualcuno ci blocca con un gesto o ci parla sopra oppure un...
Questo può sembrare un errore scemo, e magari è un errore che non hai mai fatto, ma è meglio conoscerlo per non incapparci: il “che” artistico.
Questo è il nome che gli ho dato io: è quando c’è un “che”, col significato di “il quale” o “i quali”, posto però in una frase in cui il soggetto della frase relativa coincide col referente del che. Non voglio fare spiegazioni troppe astratte, per cui andiamo a vedere un po’ di esempi così capisci subito.
Per esempio:
I meli hanno rami carichi di frutti maturi, gli uccellini che cinguettano nascosti tra le fronde.
Quest’esempio è inventato, ma la struttura dell’errore è identica a quella che ho visto più volte. Prova a tradurre quel “che”, ovvero “i quali” ovvero “gli uccellini”.
Alla lettera abbiamo:
I meli hanno rami carichi di frutti maturi, gli...
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