Oggi voglio parlarti di un segno utilissimo nei dialoghi. Un segno che potresti aver visto raramente, o perfino mai, nei romanzi... ed è uno dei moltissimi motivi per cui tanti libri sono realizzati male.
Un segno che dal 2014 sto lottando per diffondere in Italia, da quando sono direttore editoriale, e a me si sono uniti diversi autori e colleghi editori.
Si chiama em dash, o lineetta emme. Questa qui: —
Esiste, anche in italiano, come esiste la lineetta enne (en dash): –
E no, non sto parlando del trattino (hyphen), che è molto più corto di entrambe: -
Tutto chiaro fin qui? Okay.
Ognuno di questi segni ha usi specifici differenti e uno di questi usi, specifico della em dash (quella lunga), è nel troncare di botto una battuta di dialogo (sia nel mezzo di una parola che a fine parola).
Simula l'effetto di qualcosa, o qualcuno, che ci spezza la frase in bocca e noi non la completiamo: qualcuno ci blocca con un gesto o ci parla sopra oppure un evento o un rumore improvviso ci blocca mentre parliamo. Semplice, no?
Come in questi esempi tratto dal romanzo Sangue del Mio Sangue di Giuseppe Menconi.
Qui abbiamo una battuta altrui che blocca chi parla:
«Non dire sciocchezze. Non sono arrivata in fondo ai labirinti per tornare indietro. Entriamo.»
«Ma sei sicura? Lo vuoi fare anche con quello che c’è—»
«Basta, Seth. È da quando siamo entrati che rompi.»
Qui abbiamo un gesto che blocca la battuta, interrompendo chi parla:
«No, non serve. È… è una parrucca.» Me la tolgo. «I capelli li ho asciutti.»
«Un feticcio? Mi piace.»
«No, non è un feticcio. È per—»
Mi poggia l’indice sulle labbra. Ha le unghie della mano lunghe, lo smalto rosso disegna una mezzaluna sulla punta.
Oppure guarda in questo esempio come è netta la differenza tra l'interruzione brusca e una parola che sfuma (in questo caso sfuma all'interno e non al termine di una battuta):
La guancia mi brucia come se ci avessero messo sopra dei tizzoni ardenti. Me la massaggio. «Ma… ma non sono morta. Sono viva e—»
«In che guai ti sei infilata? So del banco dei denti. Che altro, Evangeline? O preferisci che ti chiami Priscilla?»
Abbastanza chiaro?
"Ma come, io non l'ho mai vista usare!" starai magari pensando. "La lineetta emme l'ho vista solo nella saggistica, non nella narrativa!"
Lo so, lo so, è una delle tristezze, tra le molte, di quell'ambiente arteriosclerotico che è l'editoria italiana. Tra poco ci arriviamo.
Torniamo al nostro segno: em dash.
Qualcuno, vedendolo la prima volta, lo avrà scambiato per un errore di codifica di un carattere, magari dei classici puntini di sospensione “…” a cui gli editori italiani ci hanno abituati usandoli un po’ per tutto: sia per far sfumare nel non udibile e interrompere lentamente una frase, sia per interrompere bruscamente una frase.
Non penso ci voglia molto a capire che se lo stesso segno viene usato per due ruoli radicalmente opposti (sfumatura lenta e interruzione brusca), con significati narrativi nettamente diversi e un impatto uditivo in lettura molto diverso, forse qualcosa non va: l’italiano apparentemente non sa distinguere le due cose, possibile?
Siamo linguisticamente handicappati?
Ovviamente non è così, l’italiano sa distinguere perfettamente, ma per volontà degli editori si impose in Italia l’abitudine di tradurre tutte le lineette emme con dei puntini di sospensione, lasciando alla fantasia del lettore (nei casi ambigui) e al contesto (nei casi sicuri) di discriminare tra i due tipi di interruzione.
Badate bene, non stiamo parlando di pratiche spesso legittime e sensate come ridurre drasticamente gli incisi all’inglese tra lineette per sostituirli con incisi tra virgole, più comuni in italiano, ma di un forzato impoverimento della contenuto informativo della lingua scritta fine a sé stesso.
Ho notato, in anni di insegnamento della scrittura, che rivelare ai nuovi autori il diverso significato dei due segni “—” e “…” permetteva di rendere molto più credibili e ricchi di opzioni i loro dialoghi, fino a quel momento incatenati dall’incertezza di significato dei puntini e, assieme, dal timore (corretto) di usarne troppi.
Perché sputare sull’italiano, una lingua meravigliosa, attribuendogli pochezze di cui non ha colpa alcuna se non per via del lavorio pigro di decenni di editori poco attenti?
Già diversi editori, come Acheron Books e Moscabianca, hanno iniziato a pubblicare diversi romanzi e racconti che seguono i corretti standard di scrittura.
Altrove la resistenza è maggiore, per un mix di ignoranza e di odio verso qualsiasi imposizione esterna... inclusi i suggerimenti sulla lingua che vengono dall'Accademia della Crusca, odiatissima da molti editori. Ricordi quanto abbiamo detto parlando del "sé stesso"?
Per maggiori informazioni sull’uso nei dialoghi della lineetta emme, ti rimando a Wikipedia.
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