Infodump e Incertezze

[Questa è la dodicesima lezione vera e propria del Corso Base di Scrittura: se hai perso l'introduzione al Corso Base di Scrittura e Sceneggiatura, ti consiglio caldamente di leggerla!]

 

Evita le formule di incertezza

Non usare forme incerte come “quasi”, “piuttosto” o simili. Non esiste incertezza nella realtà. Se stai vedendo qualcosa, stai vedendo qualcosa, e non quasi qualcos’altro. Concretizza.

Se vedi un gatto con il pelo rossiccio che manda riflessi arancioni sotto i raggi del sole, lo descriverai così, non dirai che ha il pelo “quasi rosso”. Se un uomo indossa solo le mutande dirai che è in mutande, non che è “semi nudo”.

Spesso i “quasi” e simili formule nascondono la pigrizia del Raccontato. Invece di Mostrare con dettagli concreti e azioni ciò che avviene, si riassume tutto in poche parole statiche e asettiche, incapaci di emozionare, ma molto più facili da scrivere.

Sfortunatamente se non si entra nel dettaglio e se non si realizzano descrizioni vivide, non è possibile rendere bene le “sfumature” per cui, non sapendo come fare, ci si rifugia nelle formule di incertezza.

Guarda questo esempio. Alfredo sta dando la caccia a Gino ed è notte. Gino distanzia Alfredo, si butta dal cavalcavia e fugge nella strada buia. Alfredo cerca di capire dove è finito per potergli sparare:

Non riusciva quasi più a vederlo. Tutti i lampioni erano stati spenti dal blackout.

Non devo dire cosa “quasi non riesce” più a vedere, devo dire cosa vede (così Sommergo pure l’Io). È evidente che intendo dire che Alfredo intravede Gino a fatica, ma devo essere più esplicito su cosa intendo e scegliere i dettagli concreti che meglio rappresentano ciò che immagino.

Il chiaro di luna viene riflesso dal fucile a tracolla di Gino, e per questo lo vede? O la poca luce disponibile basta a delinearne la sagoma in movimento sullo sfondo di un camion bianco? Cosa vede per davvero Alfredo?

Anche formule come “tentò”, “provò” o “cercò” sono formule di incertezza. Invece di descrivere l’azione reale, la si riassume e dato che il verbo che esprime “successo” non è sufficiente, lo si tramuta in un “cercare di”.

È una scelta pigra e quindi è incompatibile col ragionamento di un autore che voglia impegnarsi per la sua arte. In più è sbagliata perché viola il precetto di verosimiglianza: nel mondo reale non vedi alcun “cercò” o “tentò”, vedi dettagli specifici di persone che fanno cose specifiche finché riescono, rinunciano o falliscono (Sommergi l’Io!).

Non dire cose come:

Bubba cercò di concentrarsi.

Cosa dovremmo immaginare? Io immagino Bubba che spinge come se volesse fare la cacca, stringendo i denti, con gli occhi a palla, i muscoli facciali contratti e gocce di sudore che scendono dalla fronte. È ok? Se Bubba è un saggio che si spreme le meningi su un tomo di cinquecento anni prima, forse no.

Se non vuoi che il lettore immagini cose ridicole, devi dare indicazioni precise. Pochi dettagli, ma evocativi del senso che vuoi comunicare. Se il lettore avesse saputo di doversi inventare le scene da solo, non avrebbe letto il tuo romanzo: i soldi che ha pagato per leggere sono soldi buoni quindi merita che il testo ricevuto in cambio sia altrettanto buono!

Se lo sta leggendo gratis, preso in prestito, sta comunque investendo del tempo che potrebbe dedicare ad altro: non farlo pentire di averlo dedicato al tuo libro o, peggio ancora, alla sciocca idea di leggere in generale invece di giocare con la Playstation. Abbiamo un tasso elevatissimo di gente che rinuncia a leggere pur avendoci provato seriamente (quasi il 30% dei non lettori italiani, secondo Istat nel 2006) grazie ai libri scritti in modo indecente.

Guarda questo brano:

[…] i motivi in realtà si riducono al fatto che Cordino è quasi sempre impegnato in servizi punitivi

Anche se questo è un pensiero del personaggio,  è meglio evitare il “quasi”: dire che è “sempre impegnato” rende meglio l’idea e, siamo seri, è evidente la presenza sottintesa di un “quasi” anche senza dirlo! Di certo non è impegnato nei servizi punitivi mentre sta dormendo o mangiando, quindi il “quasi” non va aggiunto perché è già incluso.

In quest’altro brano i personaggi stanno avanzando di buon passo nel bosco verso la base nemica:

La nostra uscita dal bosco è così repentina che quasi mi viene da girarmi per controllare dove siano finiti gli alberi.

O gli viene voglia o non gli viene voglia. Non c’è “quasi”. O ho fame o non ho fame, ma non ho “quasi fame”: magari ho poca fame o molta fame, ma non è un “quasi”. Se vedi un cinese dalla pelle giallognola è ovvio che non sia un bianco, ma questo non lo rende “quasi negro”: è giallo.

Sembra che ci siano impegnate quasi due intere compagnie, una per parte, e il risultato è simile a una mischia da rugby formato gigante.

O sono “quasi due compagnie” (ovvero con gli effettivi sotto l’80%, perché in un esercito moderno si ritiene che ridurre di oltre il 10% inizi a danneggiare in modo non trascurabile la potenza di fuoco, per cui prendiamo oltre 20% come valore significativo) oppure sono “due intere compagnie” (ovvero al 90-100% degli effettivi), ma non sono mai “quasi due intere”!

Se l’autore volesse intendere che sono “due compagnie”, nel senso che non sono al completo, ma nemmeno piene di buchi (diciamo 80%-90%), non ha bisogno né del “quasi” né delle “intere”.

Che poi se sono “quasi due” allora non sono “una per parte”, ma “quasi una per parte” per coerenza: visto quanto è ridicolo il “quasi”? C’è un buon motivo se nel mondo reale non esiste il “quasi”, ma solo specifici e concreti dettagli: il “quasi” fa troppo pena per essere tollerato dal resto dell’Universo.

Pro Tip: se adotti il Mostrato e la sua filosofia di fondo risolverai anche questi problemi senza sforzo!

Un consiglio che mi sembra banale quanto il famoso Pro Tip di Doom per sconfiggere il CyberDemon: sparagli finché non muore! Eppure le cose stanno davvero così: ogni errore grossolano è frutto di un allontanamento dal corretto modo di immaginare e scrivere le scene. Non allontanarti dal metodo corretto e non farai errori così beceri.

Infodump: rigurgitare spiegazioni

Com’è naturale anche l’infodump, ovvero lo “spiegone”, nasce dalla violazione dell’immersione verosimile. Sai già cos’è l’infodump, immagino: ogni spiegazione fatta con il solo scopo di dare informazioni al lettore, e che quindi non è una componente naturale di un corretto dialogo o pensiero, è un infodump. Da ora in poi lo italianizzerò in “spiegone”.

Lo spiegone è una cretinata doppia: se qualcosa va conosciuto è perché serve nella storia, ma per definizione se serve nella storia significa che ha delle scene Mostrate dedicate. Giusto? Se non ha scene, per cui non si sa come farlo sapere al lettore, significa che non serve… e se non serve perché propinarcelo sotto for­ma di spiegone?

Nell’esperienza diretta del mondo non può avvenire uno spiegone perché:

  1. Non è sperimentabile con i propri sensi, quindi può essere solo “comunicato” dall’esterno.
  2. Nessuno si fa spiegoni “da solo”, ovvero nessuno si mette a dire cose che conosce benissimo e che non hanno alcuna utilità per la propria riflessione, come se stesse recitando il programma d’esame. Chi lo fa al più può sembrare uno squilibrato, di quelli nella cella imbottita che sbavano e si battono i palmi sulle orecchie mentre blaterano insensatezze.
  3. Fortunatamente Dio, se esiste, ha il buongusto di non scendere dal cielo col megafono per urlarci informazioni e spiegazioni inutili: gli autori raramente hanno lo stesso rispetto del prossimo e invadono la storia con i loro spiegoni.

Rimangono come opzione i dialoghi assurdi, in stile “Come ben sai, Bob” (As you know, Bob), che nel mondo reale ogni tanto accadono, ma sono così idioti, così inascoltabili, che la narrativa, nella sua mediazione per creare un “realismo leggibile”, non li può tollerare.

Come non può tollerare il modo reale con cui la gente parla, tant’è che i dialoghi sono un livello superiore di costruzione artificiale della naturalezza evitando la stupidità e la noia dei modi con cui la gente comune si esprime. C’è più obliquità, più conflitto, meno intercalari vuoti. I dialoghi sono come le discussioni dovrebbero essere se tutti pensassero prima di aprire bocca.

Qualche spiegone può capitare di scriverlo. Non lo nego, ti capiterà anche se non vuoi, soprattutto all’inizio. Come sempre bisogna accettare che l’Arte in massima parte non è “fare perfettamente”, ma essere consapevoli delle proprie continue e perniciose mancanze a cui mettere toppe grazie a un metodo rigoroso fondato sulla tolleranza zero verso gli errori.

Non è un dramma aver piazzato qualche spiegone: ci vuole proprio poco a tagliarli e a ripensare le scene meglio. Ecco, per esempio, uno spiegone che deve diventare una scena:

Quella che noi chiamiamo corsa, su un Mech, non è ciò che intende la gente comune. È più simile alla corsa di un pupo di tre anni che dopo essersi sparato una cacata colossale nelle mutande cerca alla disperata di raggiungere il vasino. Si avanza a passo sostenuto, ed è necessario tenere le braccia divaricate e le potenti ginocchia meccaniche un po’ piegate per abbassare il baricentro. Si può correre sui Mech solo se il terreno è piano e sgombro, e sperare di non infilare il piede in una buca traditrice… a meno che non ci sia un altro Mech nelle vicinanze a fare da gru, s’intende.

È meglio mostrare la corsa, non far fare al protagonista riflessioni assurde al solo scopo di informare il lettore. Anche queste cose contribuiscono alla sensazione che il personaggio si rivolga proprio al lettore, come se sapesse di essere in un libro e che qualcuno “là fuori” lo sta ascoltando.

Per qualche gonzo postmodernista questo effetto può essere voluto, ma a meno di non fare narrativa assurda-comica, è sempre un errore perché viola realismo e immersione.

I Mech ci offrono sufficiente protezione contro le schegge d’artiglieria, per lo meno se le ogive che piovono non sono troppo grosse.

Il leggero spiegone sulla corazzatura dei Mech si poteva rendere Mostrando l’invulnerabilità alle schegge invece di cacciarla in gola al lettore in questo modo. Peggio ancora se avesse spiattellato che il corpo ha una corazzatura frontale di due centimetri di acciaio al molibdeno! Quando entrano in gioco dimensioni precise e materiali in uno spiegone siamo messi proprio male!

Se l’invulnerabilità alle schegge comuni e agli shrapnel è rilevante allora ci saranno scene in cui i fanti appiedati vengono falciati dalle schegge mentre i piloti dentro i Mech non si fanno niente. Così si ragiona quali sono i dettagli rilevanti e come comunicarli. Semplice, no?

Per finire, una curiosità storica. Gli spiegoni, come puoi immaginare, non piacciono oggi (se non agli scrittori più gonzi, che per giustificare le proprie mancanze si arrampicano sugli specchi) e non piacevano neppure nel passato. “Quanto nel passato?”, mi chiederai: certamente fino all’Antica Grecia, e ne abbiamo le prove!

Cito dal primo libro dell’Iliade, nell’edizione in prosa Garzanti tradotta da Giuseppe Tonna:

[Teti] Lo carezzò con la mano, gli si rivolgeva e disse: «Figliolo, perché piangi? Che dolore ti è venuto? Parla, non tenerlo chiuso dentro! Così saremo in due a sapere.»
E a lei con alte grida di lamento rispondeva Achille dai rapidi piedi: «Ma se già lo sai! Perché vuoi che ti racconti qui ogni cosa? Tu conosci tutto. […]

Segue la lunga battuta di dialogo in cui Achille racconta del bottino per la distruzione di Tebe e della schiava, Briseide, che Agamennone gli ha portato via ingiustamente dopo aver dovuto liberare la propria schiava, la figlia di Crise, sacerdote di Apollo, a causa della pestilenza che il Dio infuriato aveva scatenato sul campo degli Achei. Persa la sua schiava, Agamennone ha preso quella di Achille. Bello stronzo.

La situazione è semplice: Achille e sua madre, la ninfa Teti, sanno benissimo cosa è accaduto, ma il lettore (o ascoltatore) non lo sa e così, per scusarsi col pubblico per questo dialogo totalmente privo di realismo in cui i due si dicono cose già note, Omero ci fa notare di aver capito benissimo il problema e si “denuncia” da solo per bocca di Achille, disinnescando la critica del pubblico.

Lo spiegone è il male minore, per Omero, per aggiornare il pubblico sull’antefatto dell’Iliade senza sprecare tempo in scene meno interessati e far partire la storia dalla furia di Achille e non prima.

In realtà, in ottica narrativa moderna, sarebbe meglio presentare i fatti precedenti nell’ordine di svolgimento dato che la crisi innescata dalla reazione di Achille assomiglia più a un evento avanzato del primo atto, o alla sua fine, che all’ideale inizio dell’opera.

Ma i poemi epici recitati a un pubblico, dal vivo, sono diversi dai romanzi e mi è facile immaginare che entrare subito nel vivo fosse meglio per il pubblico a cui l’opera era rivolta. As you know, Thetis…

 

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