Torniamo a parlare dell’arco di trasformazione e di come il personaggio cambia durante la storia. Una corsista al workshop di Pescara che ho tenuto a novembre 2018 mi aveva chiesto come bisogna considerare il caso in cui il protagonista cambi “in peggio”, per esempio se nel corso della storia inizia a prostituirsi. Cosa significa il suo cambiamento?
Dato che sono il Duca e, come sappiamo, noblesse oblige, ho deciso di condividere la risposta anche qui sul blog, per arricchire l'enorme mole di materiale già rilasciata dando libero accesso al mio intero Corso Base di Scrittura Creativa e Sceneggiatura.
Prima di tutto dobbiamo domandarci se questo cambiamento "in peggio" del protagonista avvenga prima o dopo il midpoint della storia. Ricordi la struttura dell’arco di trasformazione, vero?
Ripassino al link precedente o proseguiamo?
Nella prima metà della storia gli eventuali cambiamenti del personaggio non sono così forti o importanti come quelli del midpoint: potrebbe prendere delle decisioni che vanno nella direzione di una resistenza a oltranza al cambiamento (un codardo che commette azioni sempre più meschine per la paura), oppure potrebbe cambiare poco per volta anche se troppo lentamente rispetto a quanto è necessario per vincere (un codardo che trova un poco di coraggio, ma non è mai abbastanza).
Ho dedicato all'argomento anche una delle email della mia mailing list (trovi il form di iscrizione in fondo all'articolo), oltre a essere discusso all'interno del mio Corso Avanzato di Sceneggiatura. Piccoli cambiamenti o meno nel corso della prima metà della storia, quel che conta davvero è il cambiamento del midpoint. Ok?
Ripassiamo il concetto: è quel momento al centro della storia in cui il personaggio ha una rivelazione su di sé e su come stanno andando le cose, e decide se e come cambiare per affrontare il futuro. C’è il cambiamento eroico, quello giusto e che porta alla vittoria, e c’è l’assenza di cambiamento (o un cambiamento negativo), che porta al finale tragico.
La domanda che dobbiamo porci non è cosa significhi moralmente per noi lettori, nella nostra cultura “generica”, ciò che il personaggio farà dopo il suo cambiamento, ma cosa significa nella vicenda di quel personaggio in relazione al suo conflitto personale.
Il protagonista si prostituisce perché ha finalmente capito che non può continuare a fingere che il mondo sia così entusiasta della sua tesi su Essere e tempo di Heidegger che presto gli verrà offerto un ricco incarico prestigioso degno di lui…
… oppure si prostituisce per non dover faticare con un lavoro più impegnativo e meno retribuito?
Prostituirsi significa aver capito i propri errori? Il personaggio per colpa della propria arroganza di intellettuale che pretendeva solo “incarichi degni del suo livello intellettuale” ha rifiutato tutte le proposte di lavoro che considerava “umilianti” (come fare il magazziniere o il cassiere). Adesso i suoi genitori non possono più mantenerlo come un parassita e lui è disposto a sporcarsi le mani, ma ora che le vorrebbe quelle vecchie offerte di lavoro non sono più disponibili. Spinto dalla disperazione accetta di fare qualcosa di inimmaginabile fino a pochi mesi prima pur di sopravvivere…
Oppure prostituirsi è soltanto una scappatoia, la soluzione più facile per fare soldi in fretta? Magari il protagonista ha preso sempre la strada più facile per guadagnare lungo tutta la prima metà della storia, e ogni volta questa via facile lo ha portato in situazioni sempre più pericolose, e quando finalmente dovrebbe aver capito che la vita non è fatta di scappatoie e che è il momento di cercarsi un lavoro faticoso, noioso e normale… decide di vendere il proprio culo a dei vecchi sporcaccioni pur di non diventare un operaio malpagato. Seguono problemi peggiori.
Un arco eroico nel primo caso. Un arco tragico nel secondo. Il cambiamento è “in meglio” nel primo caso, “in peggio” nel secondo. Non contano i giudizi morali su cosa sia meglio o peggio, conta ciò che significa in quella vicenda.
“Ah mia cara, ho la mente piena di scorpioni! Tu sai che Banquo e il suo Fleance son vivi.” (Macbeth, Atto III, Scena I)
Se vuoi rimanere nel campo dei “giudizi morali” per capire meglio come le azioni non sono fisse e universali, ma dipendono dal contesto anche nel nostro mondo (e non solo nella narrativa), pensa alla differenza tra questi due casi:
In entrambi i casi a livello puramente meccanico lei scopa per denaro, ma come la percepiamo è molto diverso. Giusto?
Perfino su cose terribili come l’omicidio i teologi del passato hanno dibattuto se fosse sempre peccato o se fosse possibile per i cristiani uccidere, e San Bernardo di Chiaravalle arrivò a teorizzare il malicidium come attività possibile per un cristiano: l’uccisione di una fonte di male impossibile da fermare senza la violenza, come nel caso dei barbari pagani che aggredivano le comunità per depredarle. C’è uccisione e uccisione, in base al contesto: perfino i migliori cristiani avevano diritto di difendersi senza macchiarsi di fronte a Dio.
Allo stesso modo in una storia la protagonista può fallire perché continua a reagire ai problemi con la violenza, invece che con il dialogo, proprio come succede a Rambo nel primo film…
… oppure può capire che con la sottomissione non otterrà mai nulla, e che le bulle non si fermeranno mai da sole, e per difendere sé stessa e le sue amiche tormentate a scuola saprà tirare fuori le palle e affrontare le bulle nel loro campo. La violenza non è sempre sbagliata.
Tutto chiaro? ;-)
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